Emanuele Buratti

Sono nato a Torino, ho 54 anni, sono sposato e ho tre figli, Francesco (14 anni), Ilaria (10 anni) e Matteo (7 anni). In questo momento segnato dalla diffusione del Covid-19, come tutte le persone di buonsenso rimango a casa con la mia famiglia e cerco di limitare i movimenti al massimo. Faccio lezioni all’università tramite il web e soprattutto mi dedico a scrivere articoli, aggiornarmi con la letteratura scientifica, e pianificare nuovi esperimenti assieme ai miei collaboratori. Una delle motivazioni che mi spinge a fare il mio lavoro, è da sempre il piacere di vedere un risultato nuovo e sapere che in quel momento tu sei l’unico al mondo che lo conosce. Da quando poi lavoro sulla SLA ho anche la speranza aggiuntiva che questi risultati aiutino a sviluppare un trattamento per la malattia.
Fin da quando imparai a leggere sono stato un avido lettore di libri di fantascienza: alla fine scegliere una carriera scientifica credo che sia stata una specie di evoluzione naturale. Tra le esperienze particolari che più hanno influenzato le mie scelte, c’è l’aver avuto la possibilità di imparare l’inglese frequentando il liceo in Inghilterra a Raynes Park, piccola cittadina vicina a Wimbledon. Quando tornai a Trieste mi iscrissi a Biologia e subito dopo feci il Dottorato in Biochimica.
Ho avuto la fortuna di aver avuto tanti maestri eccezionali che mi hanno insegnato come usare la mia passione per fare ricerca in maniera avanzata, i primi sono stati Vincenzo Giancotti e Guidalberto Manfioletti all’Università di Trieste e subito dopo sono stati seguiti da Tito Baralle in ICGEB. Tra gli incontri che hanno segnato la mia vita c’è quello con la Prof.ssa Rita Levi Montalcini, quando ero ancora studente d’internato. Non riuscii neanche a stringerle la mano perché stavo trasportando un pesante rotore da ultracentrifuga ed ero imbarazzatissimo per l’accaduto. Ma lei ne fu molto divertita e mi tranquillizzò dicendo che gli esperimenti venivano prima di tutto, una cosa che da allora ho sempre tenuto a mente.
Perché studio la SLA? Per puro caso, come spesso accade nel mondo scientifico! All’epoca stavamo conducendo ricerche su una proteina sconosciuta (la TDP-43) quando improvvisamente in un laboratorio statunitense scoprirono che era la componente principale degli aggregati che si sviluppano all’interno dei neuroni del 96% di tutti i pazienti SLA. Da allora mi sono ovviamente concentrato per cercare di capire quali sono le conseguenze di questa aggregazione.
Nel corso degli ultimi anni ho avuto diverse occasioni di incontrare malati di SLA soprattutto ai congressi scientifici in UK e negli USA.Dei pazienti mi colpisce spesso l’altruismo inteso come preoccupazione per i familiari stretti. Questo dimostra che nonostante la SLA sia una malattia che toglie molto alle persone non riesce comunque a togliere l’empatia di preoccuparsi per gli altri.
Grazie alla mia ricerca finanziata da AriSLA ci poniamo l’obiettivo di identificare geni chiave la cui espressione dipende non solo da TDP-43, ma anche da tante proteine simili che si trovano nelle nostre cellule. L’ipotesi sulla quale lavoriamo è che variazioni nei livelli di queste proteine simili si vadano a sommare agli effetti della TDP-43 patologica e riescano a spiegare in parte come mai il decorso della malattia sia variabile fra pazienti. Una volta identificati, questi geni potrebbero essere quindi usati per rallentare o addirittura prevenire la morte dei neuroni.
Essere stati finanziati da AriSLA rappresenta un titolo di merito anche presso moltissimi laboratori stranieri che conoscono quanto sia stringente il lavoro di selezione della vostra agenzia. Questo li rende certamente più disponibili a offrire collaborazioni su progetti di interesse comune. Ad esempio, al momento abbiamo ottenuto anche un sostanzioso finanziamento dalla Western University (Canada) per partecipare a una ricerca congiunta su un altro fattore cellulare che sembra implicato nella SLA e si chiama RGNEF.
Concludo dicendo che mi sento davvero sono molto fortunato perché delle mie passioni sono riuscito a farne il mio lavoro ma ho ancora unsogno nel cassetto: fare trekking lungo tutti i 135 km di lunghezza del Vallo di Adriano, da Wallsend a Bowness-on-Solway. (data pubblicazione 29/4/2020)